SULLA SCALA MOBILE PER INVERTIRE LA ROTTA

(INTERVENTO PER "LIBERAZIONE")

Stefano d'Errico (segretario nazionale CIB Unicobas)

Con l'abolizione della scala mobile, dal 1992 i lavoratori hanno perso molto. Non solo l'adeguamento dei salari all'aumento del costo della vita, subordinato successivamente sia agli inattendibili indici ISTAT che a quelli dell'inflazione "programmata". Hanno dovuto fare i conti col cronico slittamento fuori scadenza della stipula dei contratti. Ma hanno soprattutto lasciato sul campo il senso fondamentale della contrattazione, non essendo più previsto l'istituto dell'aumento contrattuale vero: quello che prima si "spuntava" tramite lo strumento del sindacato per effetto di lotte e vertenze, che andava a calcolarsi in aggiunta al tasso inflattivo.

In tal modo, l'eliminazione della scala mobile è stato il principale strumento concertativo utilizzato nella politica della sterilizzazione dei salari e grazie ad esso le retribuzioni nel nostro Paese sono scese molto al di sotto della media europea. Il riappropriarsi della scala mobile determinerebbe quindi, sotto il profilo economico, una formidabile inversione di tendenza nella direzione di una più equa redistribuzione del reddito.

Ma la questione assume un'ancora più alta centralità sociale. Infatti, gli accordi del 1992 e del 1993 sono stati il cavallo di Troia al quale hanno fatto seguito un insieme di altre controriforme decisive relativamente all'impoverimento dei ceti produttivi anche del pubblico impiego.

Il DL.vo 29/93 ha privatizzato l'assetto contrattuale dei lavoratori statali, parastatali, degli enti locali, etc.: in tal modo è stato operato un peggioramento delle condizioni, legato all'introduzione del cottimismo (unico istituto residuo di contrattazione), di presupposti "meriti", con forme di aziendalizzazione che hanno toccato le punte massime in istituzioni come la scuola, messe "a servizio" (con buona pace della libertà d'insegnamento e d'apprendimento), tramite l'introduzione del manager o del "dirigente", definito senza vergogna anche quale "datore di lavoro".

Con i diktat del DLvo 29/93 sono pressoché spariti in tutto il settore pubblico i ruoli e gli scatti d'anzianità e la "rivoluzione copernicana" alla rovescia ha fatto da battistrada all'incedere di una vera e propria privatizzazione generale delle istituzioni e dei servizi pubblici (che si vorrebbe diventino centro di occasioni speculative per il "busines" di pochi a detrimento dei diritti di tutti), aprendo parallelamente la prospettiva di una generalizzazione del precariato e di un impoverimento drastico della qualità dell'offerta relativa ai trasporti ed alla sicurezza, di quella sanitaria e formativa, con tassi di spesa che ci collocano all'ultimo posto nel continente anche nel rapporto percentuale fra investimenti per il nostro futuro e prodotto interno lordo.

A tutto ciò s'aggiungano un'oltremodo iniqua ed antidemocratica legge sulla rappresentanza sindacale per il pubblico impiego e l'assenza di regole per il lavoro privato, nonché il radicale inasprimento delle normative sul diritto di sciopero. Provvedimenti che colpiscono direttamente i lavoratori, inibendo le forme tradizionali in ordine a capacità di lotta, autodifesa ed auto-tutela.

Si tratta di un quadro generale che va rimesso completamente in discussione, passando dal "resistenzialismo" ad un nuovo, autentico, protagonismo.

Va da sé che la battaglia che il sindacalismo di base, finalmente unito in un qualificante obiettivo comune, ha intrapreso, è una battaglia di civiltà, non solo in termini di equità salariale, bensì anche rispetto ad una generale promozione sociale e democratica del nostro Paese.

Per questo motivo facciamo affidamento sul fatto che le forze politiche seriamente intenzionate a promuovere un cambio decisivo di passo e di rotta a questo Paese, che già hanno scelto di aderire alla battaglia per una nuova scala mobile, rimarranno schierate al nostro fianco in tutto il percorso, per un cammino che non sarà semplice, durante il quale dovranno essere i lavoratori a far pesare soprattutto il proprio impegno di lotta perché la proposta di legge d'iniziativa popolare si affermi, battendo l'impostazione neoliberista sempre presente in sede politica e sindacale fra vecchi e nuovi adepti del "pensiero unico".