COMUNICATO STAMPA 15.7.09
FIRENZE, SABATO 18 LUGLIO, P.zza S. Marco – h. 15.30
L'UNICOBAS IN PIAZZA PER UN IRAN LIBERO
C'è ancora in Italia una sinistra che abita le
macerie della sua stessa crisi, che si ostina a non voler vedere le ragioni
della propria sconfitta. E' ormai composta quasi esclusivamente di soggetti
che vivono l'ossessione di guidare qualcuno o qualcosa, una qualche (inesistente)
"massa critica", ma che rappresentano sempre più solo se stessi.
Hanno imboccato una strada a senso unico e non vogliono tornare indietro:
perciò, nonostante decenni di evidente débâcle,
il loro orizzonte – anziché allargarsi – s'è sempre più
ristretto. Per questo essi non sono tra i promotori di questa manifestazione.
L'attuale regime iraniano è nemico degli USA?
Alimenta un qualche antiamericanismo di maniera al di là di qualsiasi
critica attenta che potrebbe svelare intese e connivenze (anche dello stesso
Ahmadinejad) rispetto alle guerre del Golfo? Allora non contano le centinaia
di morti, le migliaia di arresti, le torture, l'assenza assoluta di libertà
d'espressione, le masse di ragazzi e ragazze che, in uno dei paesi con
la più alta percentuale di giovani in Oriente, manifestano a rischio
della vita. E non rileva neppure l'intrinseca essenza reazionaria del potere
teocratico che le più retrive gerarchie religiose sciite hanno costruito,
la sparizione di ogni dissenso democratico, laico e di sinistra. Nulla
dice l'eliminazione fisica di tanti comunisti, anarchici, socialisti: una
campagna tanto feroce e radicale da essere divenuta ormai "tradizione"
del regime degli Ajatollah, quasi a rimodellare nello stesso stile dello
Scià il paesaggio della Persia storica. Per costoro, che si dicono
rivoluzionari, così come per altri che si limitano a definirsi "progressisti",
chi lotta in Iran per l'autodeterminazione, la libertà e l'eguaglianza
(o anche solo per il diritto di parola) "ha sbagliato Paese". Al massimo
dovrebbe adeguarsi e "portar pazienza": ora non è il suo "turno",
non è al centro della "contraddizione prevalente", non è
stato "prescelto" dal ghota dell'intellighentzia "rivoluzionaria"
dei leaders "no-global" nostrani. E le tesi negazioniste
sull'olocausto? Utile brodo di coltura per il bebeliano, strumentale (e
ricorrente) antisemitismo di "sinistra" (il famoso "socialismo degli imbecilli").
A questa "sinistra" hanno insegnato a darsi e dar conto
della realtà solo con l'utile di due pesi e due misure. Per la stessa
dottrina costoro non saranno mai in piazza per il Tibet o gli Huiguri,
la Birmania, il Darfur: occorrerebbe bestemmiare il capitalismo di stato
cinese! Quasi che un sistema imperialista che batte persino l'Iran nell'uso
spregiudicato della pena di morte e concorre a pieno titolo con il Giappone
e le potenze occidentali nella spogliazione dell'Asia e dell'Africa, non
possa neppure venire evocato solo perché è rappresentato
da una bandiera rossa. Quasi che i milioni di contadini cinesi sfruttati,
inquinati e spogliati di tutto dalla nuova classe tecnoburocratica che
ha nel partito fondato da Mao (e nell'etnia Han) la propria lobby
e sede referente, equivalessero allo zero e contassero ancor di meno.
Chi ragiona secondo schemi del genere, non solo rischia
di privare il senso della vita e gli esseri umani di qualunque significato,
ma costringe l'idea stessa di libertà ed eguaglianza in posizione
subordinata: mero specchietto per allodole. Conta solo il dato tattico
e strumentale, il politicismo: così sono stati abituati gli epigoni
di quel (poco) che resta della sinistra autoritaria. Del resto, il "politico"
gode di totale autonomia ed "il fine giustifica i mezzi": di qualsiasi
richiamo etico si può fare tranquillamente a meno! Un insieme apparentemente
eterogeneo ma invece profondamente uniforme. Un cartello che non ha mai
smesso di credere nell'obbrobrio dello statalismo e del totalitarismo "di
sinistra", nello stakanovismo e nella militarizzazione delle fabbriche
e del lavoro, nella "giustezza scientifica" della repressione di Kronstadt,
nel maoismo, in Pol Pot, nel castrismo e nelle varie sirene d'origine "caudillista"
che nel '900 – ma solo dopo il naufragio della rivoluzione spagnola, colpita
alle spalle dallo stalinismo – avevano il vento in poppa, mentre oggi non
sono altro che risibili anacronismi della storia. Quell'armata brancaleone
di orfani di "baffone" che ha gestito autisticamente – anzi, con le conventio
ad excludendum verso i "mansueti", gli "eretici" e le forze "eterodosse"
– la scomparsa nella penisola del movimento di contestazione contro i potenti
della terra, tanto da portare solo duemila persone sabato scorso all'Aquila.
Noi all'Aquila non siamo stati per scelta. Per scelta
siamo invece fra i promotori della manifestazione nazionale di sabato prossimo
(Firenze, p.zza S. Marco, h. 15.30), come eravamo in piazza il 4 ottobre
dello scorso anno in quella che – pur costruita senza i grandi programmi
elettorali e la sinistra di palazzo (più o meno "radicale") – non
è stata solo la prima manifestazione contro il pacchetto sicurezza
(all'epoca già politicamente ben delineato), ma contro lo stesso
governo Berlusconi. Un governo che, come anche il Partito Democratico –
al di là degli slogan e per opposti motivi – ha nei confronti del
movimento iraniano la stessa attitudine menefreghista dei multiformi "contestatori"
a senso unico, visto che è proprio l'Italia il primo partner
commerciale della "Repubblica islamica".
Per questi ed altri motivi riteniamo la manifestazione
per un Iran libero un passo obbligato anche nell'interesse della sinistra
italiana, nel doveroso percorso per la rinascita di una sinistra socialista,
umanitaria e libertaria.
p. l'Unicobas
Stefano d'Errico
(Segretario generale della CIB-UNICOBAS)