L'assemblea denuncia i gravissimi danni che derivano dall'insieme della
politica scolastica, leggi e provvedimenti governativi, che riguardano
l'organizzazione, la didattica e, più in generale, la realizzazione
delle
finalità che la Costituzione della Repubblica assegna alle istituzioni
scolastiche.
I tagli alla scuola, indotti dalla legge finanziaria 2003, riducono,
in
alcuni casi in maniera drastica, gli organici dei docenti e degli ATA
provocando un reale peggioramento dell'offerta formativa nel suo complesso,
e aggravi per i lavoratori della scuola. In particolare,l'art. 35 comma
1
della legge finanziaria 2003, prevede la riorganizzazione dell'orario
di
cattedra, riconducendo tutte le cattedre a 18 ore di insegnamento.
Tale
disposizione, proponendo abbinamenti legati ad una logica puramente
aritmetica di calcolo orario, implica la destrutturazione di gran parte
delle cattedre ordinarie con effetti devastanti particolarmente nel
Liceo
Scientifico.
Una norma del genere può sembrare, vista dall'esterno, banale
e
perfettamente adeguata al buon senso (e nessun insegnante ne contesta
il
principio), in realtà, è esattamente il contrario. Attualmente
una cattedra
normale è formata di un numero di ore variabile a seconda della
materia
insegnata; non tutte le cattedre sono perciò di 18 ore effettive
di presenza
in classe, perché la quantità di ore che si possono cumulare
dipende dalle
ore di insegnamento che si fanno in ogni classe, per quella materia,
e
dall'esigenza di garantire che lo stesso professore segua la stessa
classe
dal primo anno in cui la prende fino alla fine del «ciclo naturale»
di
quella materia.
Così, per esempio, è naturale che chi insegna italiano
nei primi due anni
del Liceo prenda una classe in prima e la porti fino alla seconda,
oppure
fino alla quinta; chi insegna italiano, o filosofia, nel triennio,
prende
una classe in terza e la porta fino in quinta; e così per le
altre
discipline. E' questa la «continuità didattica»:
assicurare agli studenti di
essere seguiti dallo stesso professore durante tutto l'arco «naturale»
di
insegnamento di una materia. E' evidente a tutti che la continuità
didattica
è il pilastro dell'insegnamento, perché solo un rapporto
continuato e
stabile con un docente permette agli studenti di apprendere efficacemente
una materia. Non a caso, la continuità didattica è anche
l'obbiettivo
dichiarato della riforma della scuola, e, a parole, uno dei principi
più
difesi da ministri e riformatori.
Il problema è che tra il dire e il fare, come si dice... La
riforma delle 18
ore (chiamiamola così) ha come effetto primo e necessario di
rendere
impossibile la continuità didattica. Quest'effetto non è
prodotto dal
principio in sé di uniformare le cattedre e portarle tutte a
18 ore di
insegnamento in classe, principio perfettamente razionale, ma dal modo
di
applicarlo. Per attuare tale riforma senza sconvolgere la didattica,
infatti, bisognerebbe prima ripensare la struttura generale delle cattedre;
invece essa viene applicata alla situazione esistente, provocando
semplicemente una confusione spaventosa.
Prendiamo qualche esempio. In un Liceo Scientifico, Inglese viene insegnato,
normalmente, da ogni docente su tutto il quinquennio: così,
se si rimane
nella stessa scuola, si prende una classe in prima e la si porta
naturalmente fino alla quinta. E' chiaro che ciò permette delle
condizioni
ideali di insegnamento, perché si può programmare e distribuire
l'attività
su un lungo arco di tempo, si stabilisce un legame di fiducia tra studenti
e
docente, ecc. Però, con questa struttura «naturale»
della cattedra non si
possono fare 18 ore settimanali, ma 17 (..ore in prima, ..ore in seconda,
ore in terza, ore in quarta, ore in quinta); nell'ora che manca per
arrivare
a 18, il docente rimane a disposizione della scuola per altre attività
(supplenze in classi senza docente per brevi periodi, o altro). Per
portare
tutte le cattedre sistematicamente a 18 ore bisogna riempire l'ora
che
manca. Come si fa? Si distribuiscono le ore di un'altra cattedra, sulla
quale non sarà così necessario nominare un insegnante.
Si vede da qui
l'interesse puramente finanziario dell'operazione (si eliminano una
o più
cattedre, cioè si assume meno personale), perché sul
piano didattico
appaiono subito evidenti le aberrazioni cui essa conduce. Per arrivare
a
cattedre di 18 ore in una materia come inglese, infatti, bisogna fare
degli
abbinamenti di classi tali che è matematicamente impossibile
garantire la
continuità didattica. Citiamo un esempio reale, verificatosi
nel nostro
Liceo (ci riserviamo solo di omettere i nomi reali delle vittime):
il prof.
Bianchi si troverà con una cattedra formata da due prime, due
seconde e una
quinta, senza terze né quarte. E' chiaro che il prof. Bianchi
non potrà mai
seguire nessuno dei suoi allievi per più di due anni (nel caso
delle due
prime, che recupera nelle due seconde), e prenderà sempre una
quinta solo
per un anno (non è certo la condizione ottimale per una classe
sapere di
dover cambiare docente proprio all'ultimo anno, quello della maturità!).
Il
prof. Rossi, invece, si vede toccare in sorte una cattedra formata
da una
prima, una seconda, tre terze e una quinta: c'è la possibilità
di una
continuità su una classe per tre anni, ma tutte le altre classi
sono dei
semplici «compagni di strada», presi a casaccio per un
anno (e come sempre,
la cosa capita sistematicamente in quinta...).
Ecco le conclusioni che si possono trarre da questo esempio:
1) i primi a risentirne sono gli studenti: i genitori, e gli studenti
stessi, si lamentano spesso, e con sacrosanta ragione, della girandola
di
professori nel passaggio da un anno all'altro. Il nuovo sistema renderà
questa girandola ancora più folle, non solo per le ragioni che
abbiamo detto
sopra, ma anche perché, al limite, per ottenere il risultato
matematico
delle 18 ore, è possibile anche dividere insegnamenti solitamente
abbinati
come ,nel Liceo, Matematica e Fisica, Storia e Filosofia, Italiano
e Latino
(per esempio, in una cattedra di Filosofia e Storia, è possibile
assegnare
ad un insegnante Filosofia e ad un altro Storia. Ciò vuol dire
che su un
triennio c'è il rischio che uno studente si veda sfilare davanti
non tre
insegnanti di Filosofia e Storia (cosa già aberrante, ma corrente),
bensì
quattro, o cinque, o addirittura sei! Bene, tutti sanno che gli studenti
risentono gravemente di questi cambi continui: tutti i docenti sanno
che
ogni classe esige un periodo iniziale di «assestamento»,
di «rodaggio», in
cui insegnante e alunni si conoscono, imparano i propri rispettivi
stili,
metodi, esigenze, ecc. Se questo periodo si ripete ogni anno, e più
volte,
si lavora male, perché non arriva mai il momento in cui, dopo
il decollo, si
lavora «a regime». Non si lavora mai a regime, ma sempre
in situazione di
emergenza.
2) è chiaro che in queste condizioni si lavora senza prospettiva:
si
programma il lavoro in classe solo su un anno; non si pensa di poter
partecipare a fondo alle attività della scuola, alla quale non
si è legati;
tutte le attività dei Consigli di Classe sono rese più
difficoltose, meno
efficaci, perché la composizione dei Consigli non è stabile,
e quindi non è
possibile fare una programmazione didattica collegiale che duri più
di un
anno; non si può fare una politica seria di adozione dei libri
di testo,
perché è chiaro che un docente che «passa»
per una classe solo per un anno
non ha interesse a scegliere con accortezza i libri per l'anno successivo.
3) col venir meno delle "ore a disposizione", sarà sempre più
difficile
garantire la sostituzione dei docenti in malattia e quindi la sorveglianza
delle classi in assenza degli insegnanti
L'Assemblea inoltre nota che per le scuole paritarie sono state previste
una
serie di misure "ammortizzatici" (bonus scuola, crediti d'imposta e
altro )
e,quindi, risulta ancora più "incomprensibile" la motivazione
della scure
che si è abbattuta sulle scuole statali, visto, tra l'altro,
che tra il 2001
e il 2003 il numero degli alunni delle scuole statali è cresciuto
del 19%,
mentre si è registrata una diminuzione di 8.725 posti
di insegnamento (da
755.880 a 747.155).
Questa politica folle va denunciata e contrastata in tutti i modi.
I docenti
si mobiliteranno in tutti i modi possibili in questo senso, ma è
importante
che il problema diventi pubblico: che la società italiana si
renda conto che
la scuola è un patrimonio collettivo, che lo sviluppo sociale
e culturale di
una paese moderno dipende da essa, e che quindi non è solo compito
dei
docenti denunciare una politica così assurda. I genitori e gli
studenti sono
in realtà le prime persone direttamente interessate a una scuola
di qualità,
e sono dunque coloro cui rivolgiamo un appello perché si oppongano
anch'essi, con i loro mezzi, allo smantellamento della scuola pubblica.