Tanti, tantissimi sono i precari che lavorano al Comune di Roma. 60 nei
Col, oltre 100 nella formazione professionale, circa 300 come istruttori
amministrativi, 2000 tra educatrici di asilo nido ed insegnati di scuola
dell’infanzia. 350 saranno a breve i lavoratori interinali, di cui già
si prevedono ulteriori integrazioni, centinaia, inoltre, le alte
specializzazioni  presenti nei diciannove dipartimenti, centinaia le
collaborazioni occasionali e le consulenze, a cui si aggiungono le
migliaia di precari impiegati con le più fantasiose tipologie
contrattuali (CO.CO.PRO, Tempo Determinato, Collaborazioni Occasionali,
Part-time, ecc.) nei servizi esternalizzati, in particolare all’interno
della Roma Multiservizi Spa (pulizia nelle scuole, sorveglianza e
piccole pulizie nelle scuole dell’infanzia e nei nidi, trasporto
scolastico, ecc.) e delle imprese impegnate nei servizi alla persona
(assistenza scolastica agli alunni disabili, assistenza domiciliare ad
anziani, minori, disabili, ecc.).
Cosa hanno tutti questi lavoratori in comune? L’incertezza per il
futuro, causata dallo stesso datore di lavoro.
Nonostante la legge Biagi preveda, all’art. 1 comma 2, “Il presente
decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il
loro personale”, il Comune di Roma, grazie anche alle deroghe del CCNL
volute da CGIL-CISL-UIL,  si propone come uno dei datori di lavoro a più
alto tasso di lavoro atipico e flessibile della nostra città.
Il sistema sembra ormai incontrollabile. Sotto la copertura dell’alibi
dei ripetuti blocchi delle assunzioni perseguiti dai governi nazionali
negli ultimi 10 anni, i vuoti d’organico del Comune di Roma sono stati
colmati da personale sempre più flessibile e ricattabile. La sensazione,
però, è che i nostri amministratori ci abbiano preso gusto. Anzi, in
qualche caso, scelgono il lavoro precario perché lo considerano più
conveniente e in linea con le esigenze di flessibilità manifestate
dall’ente.
Per questi motivi, occorre fissare in tempi rapidi un limite percentuale
all’utilizzo del personale atipico e precario, prevedendo anche dei
percorsi per la stabilizzazione occupazionale del personale già
impiegato, che siano trasparenti, partecipati e certi nei tempi.
Si devono inoltre utilizzare al meglio le regole che l’Amministrazione
comunale ha emanato in questi anni anche grazie alla spinta delle
lavoratrici e dei lavoratori che hanno seguito la strada
dell’autorganizzazione. Parliamo delle Delibere di Consiglio Comunale n.
135 del 2000 e n. 259 del 2005. Strumenti che, per poter essere
efficaci, necessitano della destinazione di risorse (economiche e umane)
verso i Municipi e gli Uffici preposti al controllo sulla corretta
applicazione, nei servizi affidati all’esterno, dei CCNL e della
normativa in materia di igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Ora è il momento di uno sforzo unitario, dal basso, che permetta alle
lavoratrici e ai lavoratori, a prescindere dalle appartenenze sindacali,
di stare insieme, decidere insieme, lottare insieme e partecipare, per
superare l’attuale condizione di precarietà e arrivare ad ottenere un
contratto di lavoro dignitoso.

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