Al Ministro dell’Istruzione, Università, Ricerca
al CSA di Latina

all’A.I.M.C. di Roma

agli Organi di Stampa

ai Sindacati della Scuola

Cgil, Cisl, Uil Unicobas, Cobas, Anp

 

 

Non è stato certo lineare e chiaro, tanto meno lo è in questi giorni, il percorso compiuto dalla Riforma Moratti, tesa a cambiare la scuola italiana.

Certo è invece che si insiste, con accanimento e in modo particolare, a trasformare radicalmente la scuola dell’infanzia e la scuola elementare, come è certo che questa riforma ha trovato, e trova ancora, contrasti su vari fronti. D’altra parte, e non di secondaria importanza, si è avuta la netta impressione che i soggetti interessati non abbiano avuto un’adeguata informazione sul decreto di sperimentazione, né la possibilità di dare il proprio contributo in base ad esigenze reali e ad esperienza consolidate.

Non si è sentita, né recepita la voce dei docenti che poi dovrebbero concretamente realizzare la Riforma mettendosi in discussione, forse anche nel posto di lavoro; non sono state assunte iniziative per coinvolgere, in modo serio, i genitori che poi, quali “utenti”, e non “soggetti”, dovrebbero ricevere o subire u servizio dove il pedagogico deve ancora essere fondato e costruito.

È da questa consapevolezza, nata in chi nella scuola crede ed opera da anni, che ha vissuto in modo attivo i cambiamenti e le positive innovazioni, che scaturisce l’indispensabile riflessione, seppure sintetica e sommaria, sul progetto di riforma che pretende di cambiare, ancora una volta, la buona organizzazione, soprattutto della scuola di base.

Infatti, come sottolinea G. Guzzo: “ a fare le spese dell’onda dei riformatori del momento saranno, infatti, la scuola dell’infanzia e quella elementare, quei due segmenti del sistema scolastico italiano, insomma, che più di tutti gli altri si erano dimostrati fino ad oggi validi sotto il profilo organizzativo, pedagogico e didattico. La scuola elementare – con la riforma dei programmi del 1985 e degli Orientamenti del 1990 e la verifica positiva dell’impatto territoriale del 1995 – e la scuola dell’infanzia, con la scrittura degli Orientamenti del 1991, la sperimentazione del Progetto Ascanio e la consultazione sulle Linee di Sviluppo del 1998 – avevano raggiunto significativi livelli di qualità e si erano imposte all’attenzione anche di autorevoli organismi internazionali”.[1]

            Da qualche anno la qualità dell’insegnamento, la significatività dell’apprendimento, la garanzia di pari opportunità formative, la valorizzazione della diversità come risorsa hanno presentato i punti di forza di una scuola che ha perseguito obbiettivi di efficienza ed efficacia, potendo contare soprattutto su una solida coscienza e coerenza professionale degli insegnanti.

            Inoltre, la trasformazione che negli ultimi dieci anni, in particolare nella scuola elementare, è stata vissuta dai docenti, in modo attivo e consapevole, con impegno serio e attento ai discenti e ai contesti, non senza difficoltà, ha condotto a forme di organizzazione in cui la corresponsabilizzazione, la collegialità, la progettazione, la valutazione formativa, l’autovalutazione, la modularità, si sono affermate come variabili che hanno dato un volto originale e positivo all’istituzione scolastica.

            Ha affermato Frabboni: “ la legge 148 di Riforma degli Ordinamenti della scuola elementare accende disco verde (da via libera) al Modulo organizzativo: una piccola rivoluzione copernicana che fa tutt’uno con la teoria e la prassi del tramonto della concezione individualistica dell’insegnamento e dell’uso isolato (o totalizzante) dell’aula-classe quale sede “autarchica” dei processi di socializzazione e di istruzione della terza infanzia”.[2]

            Non possono mancare, infatti, riferimenti ai Programmi del 1985 e alla legge 148/90, che hanno ridisegnato l’attuale scuola elementare sulla base dei più noti, validi e attuali studi psico-pedagogici: “ Senza dubbio il cuore dell’innovazione sta nel comma 3 dell’Art.4 (1.148/90) che dispone(…). Nonostante certe ineleganze linguistiche, la norma è chiara ed il suo contenuto è di portata storica. Essa, in primo luogo, modifica il modo di fare scuola e rende improponibile ed, anzi, illegittima la prestazione docente fatta nelle forme tradizionali dell’insegnante al singolare, unico di classe, in un rapporto esclusivo con gli alunni. Nello stesso tempo fissa il tratto caratteristico fondamentale di una nuova forma di scuola”.[3]

            L’attenzione pedagogica nel segno della qualità è, inoltre, ben presente nel decreto sull’autonomia, dove sono esplicitate varie modalità di flessibilità organizzativa, metodologica e didattica, quale peculiarità delle scuole e a responsabilità delle stesse nella comunità educante.

            Non si comprende, pertanto, come il rinnovamento nell’autonomia, i contributi pedagogici, psicologici, sociologici della ricerca consolidata abbiano perso improvvisamente senso e non siano stati tenuti in alcun conto nell’ipotesi di riforma. C’è il senso del ritorno indietro nel tempo, con la prevalenza, nella scuola elementare, dell’insegnante tuttologo ed unico responsabile del percorso formativo di ciascun alunno, e unico referente verso i suoi genitori. Una “prevalenza” che rientra nell’esperienza “della scuola gestita dai privati” e non in quella “gestita dallo Stato Repubblicano”.

Una “prevalenza” che trascina rinnovate perplessità sul fatto che serva soprattutto a determinare tagli agli organici; ad orientare i genitori verso la scuola privata, trovandosi la scuola “gestita dallo Stato” ad affrontare cambiamenti che comporteranno non poche difficoltà organizzative e gestionali; e, ancor peggio, a determinare discriminazioni all’interno del Corpo Docente, rendendo più fragili i rapporti e più alte le tensioni.

Una “prevalenza di cui si parla in modo “oscuro” (forse volontariamente, per far ricadere responsabilità e dissensi su chi è chiamato ad organizzare e praticare sul campo la riforma?) anche nello schema del primo decreto applicativo della L. 53/03: dal momento che non si definisce alcuna indicazione in merito a questioni di estrema rilevanza, tra cui i criteri di assegnazione dei docenti alle classi, avendo cura, nello stesso tempo, di garantire sia “le condizioni per la continuità didattica”, sia “la migliore utilizzazione delle competenze e delle esperienze professionali”; i tempi e le modalità di formazione del “tutor”; un’organizzazione dell’orario che non penalizzi chi “tutor” non sarà, con evidenti disparità di trattamento a livello professionale ed economico.

La proposta dell’insegnante prevalente induce, inoltre, a rivedere, se non ad annullare, anche il senso e il valore della programmazione e progettazione collegiale, dal momento che “progettare, contrariamente a quanto si possa pensare, non vuol dire restare chiusi nei criteri di massima di un percorso da costruire, ma, al contrario, significa misurarsi con gli aperti, problematici e infiniti orizzonti del possibile; vuol dire mirare al raggiungimento di traguardi prefissati e di obiettivi ben delineati. Allo stesso modo, progettare non può essere inteso come libertà di mettere comunque insieme idee, metodi e strumenti, bensì come un tentativo di pensiero organizzato, il quale consideri adeguatamente la libertà del soggetto e le sue possibilità de scelta e di decisione, ma anche il suo bisogno individuale di creatività e di differenziazione per porre il tutto al servizio di un’ordinata sistemazione dei contenuti, di criteri valutativi”.[4]

            Occorre quindi riflettere bene sulla funzionalità e la praticabilità della riforma proposta in relazione soprattutto alle esigenze formative degli alunni e alla pratica dell’insegnamento individualizzato, che l’organizzazione modulare finora ha permesso di gestire con ricadute positive, e, occorre ribadirlo, con l’apprezzamento in sede internazionale. La modularità, infatti, ha garantito non solo la condivisione pluralistica e democratica oltre ad un controllo reciproco, esso stesso garante della migliore operatività in termini di ottimizzazione delle offerte formative e delle compensazioni.

            Non bisogna poi dimenticare che la maggior parte delle scuole, soprattutto nelle zone periferiche, non è pronta strutturalmente ad accogliere la nuova riforma; come si può parlare di laboratori didattici se esistono ancora strutture scolastiche che versano in grave stato di degrado? E come parlare di nuove “sperimentazioni” senza aver consolidato ciò che è valido, non dando a questo le dovute risorse disponibili con quelli di cinque, evidenziando esigenze molto diverse, se ci si ferma solo a considerare i bisogni fisiologici, il pianto o l’assistenza alla mensa.

            Le istanze psico-pedagogiche, nella loro specificità, sono al di là dell’attuale formazione del docente della scuola dell’infanzia, che richiederebbe così un nuovo aggiornamento non improvvisabile. Inoltre, i docenti e gli esperti che si occupano da vicino della scuola conoscono bene anche le tappe di sviluppo emotivo, sociale e psicologico, oltre che cognitivo, dei bambini di cinque anni e mezzo, e sanno, dunque, che risulta molto difficile pretendere che questo bambino apprenda la strumentalità della lettura, della scrittura e del calcolo, stando seduto cinque e, forse, anche più ore in un banco di scuola, in un periodo della propria vita nel quale sembrava, almeno fino a qualche anno fa, che il gioco fosse l’attività da privilegiare.

            Si può apprendere giocando, è vero, ma le condizioni, i tempi e i modi nella scuola elementare cambiano rispetto a quelli della scuola dell’infanzia: “Lo sviluppo deve raggiungere un certo stadio con la conseguente maturazione di certe funzioni, prima che la scuola possa far acquistare al bambino determinate conoscenze e abitudini”[5]; inoltre, senza scomodare troppo i più famosi psicologi e le teorie su cui abbiamo fondato la qualità della nostra azione docente, si vuole soltanto ricordare che “l’età della scuola elementare segna per i bambini il passaggio dallo stadio preoperatorio a quello delle operazioni concrete. Fino a sei anni il bambino sa già operare attivamente sui simboli attraverso l’imitazione, il gioco e il linguaggio; spesso, però, sul piano cognitivo, è ancora fortemente egocentrico, ha, cioè, difficoltà ad immaginare come stanno o appaiono le cose da un punto di vista diverso dal suo. (…) tra i sei e gli otto anni si assiste al passaggio allo stadio delle azioni concrete, caratterizzato dal superamento dell’egocentrismo e dalla capacità di compiere delle azioni mentali flessibili e reversibili”.[6]

            Un’ulteriore considerazione si riferisce al rischio di rendere la scuola dell’infanzia di nuovo assistenziale più che formativa, azzerando i progressi promossi dai Nuovi Orientamenti; la scuola elementare, d’altro canto, sarà sede di un apprendimento troppo precoce e forzato. Nella scuola attuale i docenti hanno imparato a confrontarsi, ad operare insieme e costruttivamente, in modo critico ed auto-critico, a guardare con la visione dell’altro, senza gerarchie e garantendo maggiore scientificità ed obiettività ai processi di educazione ed istruzione, sfruttando i tempi di compresenza per interventi di recupero, rinforzo, potenziamento mirati, indispensabili, soprattutto in contesti scolastici (e non sono pochi) dove mancano strutture ed esperti per gli interventi specialistici.

            È pertanto necessario evitare che la nuova riforma distrugga quanto finora positivamente attuato, determinando cambiamenti non giustificati pedagogicamente, ma dettati da criteri di opportunismo e da una politica scolastica volta a favorire una gestione eterogenea e differenziata che renderà le scuole, e di conseguenza i suoi giovani utenti, sempre più disuguali nel percorso formativo e negli esiti.

            È per questi motivi che è opportuno ricordare quanto ha scritto Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera del 31 agosto 2002 a proposito del valore dell’educazione e della cultura che si sta disperdendo nella giungla delle nuove “educazioni” senza senso, che dovrebbero “abbellire” la proposta di riforma: “ La prospettiva umanistica della nostra cultura è stata totalmente cancella dall’orizzonte educativo (…). Ci hanno pensato il futile susseguirsi delle mode culturali , la vacuità dei pedagogisti, la superficialità della classe politica, mentre da decenni il ministro preposto all’istruzione, consigliato dai suoi sciagurati esperti, non fa che avallare spensieratamente, come continua a fare, ogni cambiamento dissennato (…)”.

            Occorre, dunque, che si rifletta ancora una volta sui rischi reali, che non sono quelli che hanno titolato, martellanti, le pagine dei quotidiani relativi all’avvio della sperimentazione, ma quelli del dominio di gruppi che vivono di opportunismi, inventando innovazioni momentanee ed infondate.

Occorre dare risposte fondate moralmente e culturalmente, attraverso la ricerca e la critica intelligente, che non siano frutto di una barbarie pedagogica, che dimentica la complessità della persona umana di cui gli insegnanti, insieme ai dirigenti scolastici, alle famiglie, prima di ministri, giornalisti, amministratori ed esperti vari, con il loro contributo partecipe e corresponsabile, determinano la crescita e, perché no, il destino.

 

            Istanza sottoscritta dai docenti delle scuole:

·        Istituto Comprensivo di SS. Cosma e Damiano (LT)

·        Istituto Comprensivo di Castelforte (LT)

·        II Circolo Didattico di Formia – Plesso “G. Rodari” (LT)

“ “ - Plesso “ G. Bosco” (LT)

“ “ - Plesso “I. Calvino” (LT)

·        Istituto Comprensivo di Sperlonga (LT)

·        Istituto Comprensivo “L.Castani” di Cisterna (LT)

·        I Circolo Didattico di gaeta (LT)

·        I Circolo Didattico di Formia (LT)

·        I Circolo Didattico “E. Fiorini” di Terracina (LT)

·        Istituto Comprensivo “V. Pollione” di Formia (LT)

·        I Circolo Didattico di Itri (LT)

·        I Circolo Didattico di Minturno (LT)

·        III Circolo Didattico di Fondi – Plesso “Don Milani” (LT)

·        Istituto Comprensivo di Epseria (FR)

·        Scuola Media Statale “G. Di Biasio” di Cassino (FR)

·        Istituto Comprensivo “Don Bosco” di S. Apollinare (FR)

 

SS. Cosma e Damiano, 25.06.03