La Repubblica.it del 21 gennaio 2001

Professori, tornate al 7 in condotta
di MARIO PIRANI
 

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IL pretestuoso scandalo per le battute estemporanee del ministro Veronesi sugli spinelli a scuola non meritava certo il rilievo che ha avuto. Assai più drammatica e con ben altri profili è la realtà che si respira nelle aule, a cominciare dalle elementari e dalle medie. A condizione che si voglia guardarla in faccia. Se ne è avuto uno squarcio nelle "lettere" a Corrado Augias dove spiccava nei giorni scorsi quella di un insegnante di scuola media di Vibo Valentia, il professor Domenico Contartese, il quale, dopo 21 di attività proficua, confessava la propria disperazione e solitaria impotenza per il disastroso mutamento verificatosi in tempi abbastanza recenti: studenti che vanno e vengono senza rispetto per gli orari, apatia e violenza con danneggiamenti a banchi, sedie, armadi, autogestioni proclamate per anticipare anche di trenta giorni le vacanze, impazzare dei cellulari, rifiuto di qualsiasi idea basata su studio e sacrificio. Il caso di Vibo Valentia non è isolato ma generalizzabile , anche se non ad ogni scuola.
Ad Augias, dopo la pubblicazione di quella lettera, ne sono giunte moltissime altre, quasi tutte dello stesso tenore. Scrive,ad esempio, da Pescara il professor Carlo Madeo, 21 anni d'insegnamento: "Negli ultimi anni non riesco a capire cosa sia successo. Più aumenta la disponibilità nei confronti degli studenti, più aumenta il loro disinteresse"

E ANCORA: "Essi vedono le ore dedicate allo studio come una inutile perdita di tempo... Il fatto è che la scuola è studio, sacrificio, fatica e vanno premiati i ragazzi che vogliono studiare, mentre la riforma persegue l'automatismo del titolo di studio a tutti i costi. I ragazzi avvertono che alla fine qualunque titolo non è poi spendibile per il lavoro e manifestano la loro rabbia contro la scuola. Non ho mai avuto nel passato dei teppisti come alunni ma ogni anno che passa sono gli alunni teppisti che aumentano".
La concordanza di queste missive mi ha spinto a documentarmi meglio. Ho telefonato in mezza Italia ad insegnanti con cui ero entrato in contatto ai tempi del famigerato "concorsone" e ad amici con figli piccoli o adolescenti. Mi sono trovato di fronte ad un quadro impressionante che riferisco così come l'ho raccolto, ben consapevole che non si tratta di un'analisi convalidata da statistiche complessive, che gli esempi riportati possono essere bilanciati da altrettanti opposti e positivi. Nell'assieme ho tratto l'impressione che la situazione sia peggiore nelle elementari e nelle medie che nei licei, dove sembra permanga, almeno in alcuni istituti, una qualche autorevolezza di non pochi insegnanti e un minimo di filtro meritocratico. Il disastro dilaga prima, se i casi che mi sono stati raccontati e che riguardano scuole elementari di Firenze, Roma e Vicenza, riflettono (e perché dovrebbe essere altrimenti?) una situazione generalizzata. Un minimo di disciplina è saltata. Si moltiplicano con frequenza e ubiquità (mi sono stati riportati anche da altre città) fenomeni di teppismo sessuale infantile con bambini che mostrano in pubblico il piccolo pene, mimano sulle bambine, in genere turbate e spaventate, un atto di violenza, accompagnato da insulti volgari e oscenità, apprese probabilmente dai fratelli più grandi, da adulti incoscienti, da spettacoli televisivi, cinematografici od altro la società mass-mediatica offra ai loro occhi. Non si tratta naturalmente di comportamenti fatti propri dalla maggioranza degli scolari ma ne basta qualcuno per classe per sconvolgere tutti.
Ma non è solo grave il fatto in sé, quanto la rinuncia a contrastarlo: le maestre fingono spesso di non vedere, con il pretesto di "non voler dare importanza alla cosa"; se poi lo segnalano alle famiglie, queste solidarizzano con il figlio e lo scusano, polemizzando con l'insegnante; il capo d'istituto in genere, come anche per episodi d'indisciplina o di aggressione con corpi contundenti, rigetta la responsabilità sul docente, invitandolo a trasformarsi in psicoterapeuta. Tra l'altro l' insegnante, quando qualche discepolo si fa male, viene inquisito e risponde penalmente ed economicamente, se è provata una sua qualche negligenza (come fa, d' altra parte, a sorvegliare costantemente tutti? non gli resta, quindi, che l'adozione di polizze assicurative ad hoc, in aumento esponenziale). "I cosiddetti moduli della riforma hanno, fra l'altro, moltiplicato le attività e i progetti didattici di ogni genere con conseguente aumento del numero dei maestri, che oscillano da tre a sette, per classe. I bambini non hanno così più una o due figure di riferimento né sufficienti tempi ludico-educativi di formazione. Si trovano di fronte a un continuo carosello cui cercano di adattarsi tumultuosamente o di rifiutare, sfidando la scuola e generando forme di aggressività": così mi dice una intelligente maestra fiorentina con un lungo curriculum.
Mi trattengo dal riferire un ulteriore e desolante florilegio di episodi negativi che riguardano le scuole medie. Essi confermano come anche a questo livello la soglia di tollerabilità di ogni tipo d'indisciplina si sia pericolosamente alzata. Gli insegnanti o hanno una eccezionale personalità e prestigio individuale o sono schiacciati tra la colpevole complicità delle famiglie col ribellismo dei figli, anche il più becero (come il voluto insozzamento sistematico dei bagni) e il rifiuto dei capi d'istituto, recentemente battezzati "managers dell'azienda scolastica", di assumere provvedimenti che ledano l' immagine di "successo imprenditoriale" che sono chiamati ad ottenere. Una immagine che si appoggia alla retorica dei "progetti", delle attività integrative, dei "nuovi saperi" volatili e trasversali, della tecnologia in sé e della contemporaneità "come cavallo di Troia per la progressiva cancellazione del latino, del greco, della storia passata, della filosofia, della storia dell'arte, della geografia, della storia della letteratura" (da un documento critico in elaborazione, trasmessomi da un gruppo di volenterosi docenti).
Sarebbe facile a questo punto abbandonarsi alle spiegazioni sociologiche sul degrado generale della società, sul permissivismo imperante, sul venir meno della famiglia come nucleo gerarchico- pedagogico e così via. Non che queste cose non influiscano anche sul costume scolastico. Preferisco, però, tentare un discorso molto più riduttivo, peculiare, concreto che possa indurre a una discussione sulla conduzione specifica della scuola. Bisognerebbe partire dal riconoscimento che la scuola italiana mostra taluni aspetti di anchilosi conservatrice e di eccessivo distacco dalla modernità (ma la scuola non può essere mai totalmente contemporanea), eppur tuttavia è ancora detentrice di un grande patrimonio culturale e di un corpo insegnanti mediamente all'altezza, ancorché frustrato e maltrattato. E', comunque, lungi dall'essere così bisognosa di modelli che la "rinnovino" all'americana (non stiamo parlando delle università). Per contro è in questa direzione che la lobby didattica, con la sua coorte di esperti, ispiratrice delle riforme, si è mossa in un' ansia di rinnovamento di "mercato", specularmente e paradossalmente corrispondente al ciarpame ideologico di provenienza - il sessantottismo egualitario, antimarxista ed antistoricista, frullato col combinato disposto del sindacalese catto-cigiellino di quell'epoca, "nobilitato" talvolta da pessimi corsi universitari di pedagogia e psicologia d'accatto.

Si è così messo malamente in piedi un impianto che vede la scuola come una azienda fornitrice di servizi, con gli studenti come "clienti" che, in quanto tali, "hanno sempre ragione" e i cui diritti immediati, le richieste e le pretese vanno privilegiati. In questo contesto l'intero capitolo disciplinare è stato completamente destrutturato e, quel poco che ne resta, del tutto inapplicato. Il famoso 7 in condotta, che non veniva quasi mai comminato, ma che aveva una grande funzione deterrente dell'indisciplina grave perché implicava il rinvio in tutte le materie, è stato abolito. Non solo: è stata esplicitamente interdetta per legge ogni connessione tra giudizio di merito e giudizio sul comportamento, che resta così del tutto virtuale. La sospensione, che formalmente esiste ancora sulla carta, è praticamente inapplicabile: deve esser decisa da un organo collegiale, contro di essa è ammesso ricorso davanti a un organsimo di cui fanno parte anche rappresentanti di studenti e genitori e, come terza istanza, di fronte al Provveditore. Infine "può sempre essere convertita in attività in favore della comunità scolastica" (dallo Statuto degli studenti, approvato per legge nel '98, sulla scia tardiva dello Statuto dei lavoratori). Non solo: in nome della "trasparenza" l'insegnante non può più nemmeno rifilare, poniamo, un 4 su un compito che giudica pessimo ma deve motivarlo, suddividerlo in sottovoti (tot per la forma, tot per la grammatica, tot per i concetti,ecc.). I genitori possono sindacarlo, pretendere le argomentazioni del voto, ricorrere al Tar contro valutazioni negative , bocciature e quant'altro. Tutto è sindacabile (una insegnante mi ha informato che, avendo descritto sulla scheda quadrimestrale di valutazione, i gravi problemi relazionali di un suo scolaro, era stata diffidata legalmente dall'avvocato, incaricato dalla famiglia!).
Sia ben chiaro che denunciando questo stato di cose non coltivo alcuna nostalgia per una scuola autoritaria, in cui lo studente sia privato della sua libertà di espressione e di tutti quei diritti che la democrazia, anche nella scuola, gli assicura, compresi quelli di rappresentanza e di esplicita discussione degli orientamenti educativi. Ma la democrazia è, anzitutto, un sistema di regole. Altrimenti predispone cittadini che si reputano svincolati da ogni norma etica e da ogni vincolo legale. In questo quadro la scuola non può esser vista come una azienda ma come una istituzione pubblica con cui la collettività assicura la continuità culturale tra le generazioni ed educa alla libertà nella responsabilità. Per concludere: queste critiche sono soprattutto rivolte alla sinistra, per le pecche delle sue riforme. Con la destra, allo stato degli atti, non vi è discorso praticabile: da un lato si profila una spinta al clericalismo privato, a spese dello Stato, dall'altro si staglia sui muri il manifesto di Berlusconi, che aspira a ridurre la scuola, con le sue "tre I (Inglese, Internet, Impresa)", ad un puro supporto aziendale.

Mario Pirani