Sandro Gigliotti lascia la Gilda.
Ecco la sua lettera di addio, rivolta all'associazione che aveva fondato nell'88.
La lettera è seguita da un messaggio di risposta da parte di Stefano d'Errico (Segretario Nazionale dell'Unicobas Scuola).

PERCHE' LASCIO LA GILDA
di SANDRO GIGLIOTTI

Cari colleghi ,

con queste righe, che a lungo ho meditato, e che scrivo con profondo disagio ed estrema tristezza, vi rendo nota la mia uscita dalla Gilda degli Insegnanti.

Nel 1988 ho fondato l'Associazione, e per molti anni l'ho guidata: Non sta a me dire se bene o male. Certamente ho commesso degli errori. Meriti, se ne ho avuti, non sarò io ad elencarli.

Dal maggio del 2000 non ricopro più la funzione di Coordinatore Nazionale. Al mio posto una nuova maggioranza ha eletto Ameli. Gran parte degli iscritti ha tratto dal giornale della Gilda, l'idea di un normale avvicendamento. Non è stato così. Chi oggi svolge la funzione di Coordinatore era, fino ad un'ora prima della fine del Congresso, il secondo firmatario della mia mozione e l'odierno Vice Coordinatore era, da nove anni, esponente della maggioranza che a me faceva capo. Entrambi avevano collaborato alla scrittura della "Mozione Gigliotti". Nessuna mozione alternativa alla mia era stata presentata per la discussione congressuale. Così, nello stile tipico dei vecchi partiti, è stato sotterraneamente organizzato e attuato, fuori dal controllo degli iscritti, un "ribaltone", modalità assolutamente estranea allo stile e alla tradizione della Gilda. Non credo di dover aggiungere altro sull'argomento.

Da quel momento, nei desideri dei "nuovi" dirigenti, avrei dovuto sparire velocemente dalla circolazione. Quindi, no all'esonero sindacale; e "avvertimenti" inequivocabili a UNAMS e CISAL ( organizzazioni federate alla Gilda) che intendevano concedermelo per avvalersi della la mia esperienza, delle mie competenze. In quei giorni, con un sovietico niet mi è stato finanche interdetto l'uso, a mie spese, del numero di cellulare che avevo utilizzato per anni dirigendo l'Associazione.

Sparire in silenzio: ecco il destino preparato per me dai "nuovi", solerti, funzionari.

Non a caso anche il mio saluto ai membri dell'Associazione, inviato subito dopo il Congresso al giornale della Gilda, Professione Docente, non è stato pubblicato, censurato sbrigativamente. La stessa fine hanno fatto le tante note politiche che ho elaborato: nessuna di esse è giunta agli iscritti attraverso i mezzi di comunicazione interni. Il giornale della Gilda è ormai diventato una monocorde "velina di partito".

Nel corso di questi mesi la nuova maggioranza ha utilizzato ogni possibile strumento per consolidare il proprio dominio di apparato, commissariando, espellendo, ricorrendo a misure disciplinari e ad avvertimenti indirizzati verso chiunque esplicitasse divergenze. I pochi che detengono attualmente le leve del comando hanno dalla loro i numeri e li usano in modo determinato, interpretando la democrazia come eliminazione progressiva di ogni possibile minoranza. Il nuovo stile vede, come consuetudine ormai consolidata, l'accumulo degli incarichi : c'è chi svolge, contemporaneamente, funzione di Coordinatore Provinciale, membro di Direzione Nazionale, Tesoriere Nazionale e Commissario di Roma. A chi ha chiesto delucidazioni sui criteri di assegnazione degli incarichi è stato risposto con un arrogante silenzio.

Nel febbraio scorso, poi, Roma è stata commissariata. In un regolare congresso era stata votata una maggioranza "non allineata" con la dirigenza nazionale. Nelle stesse condizioni formali, il congresso di Catanzaro ha avuto invece via libera. Anche Verona è stata commissariata; Vercelli ha visto tutti gli organismi dimissionari. Colleghi storici si sono allontanati dalla Gilda.

In questa situazione non vedo spiragli. Non sono uomo per tutte le stagioni: riconosco in ciò un mio limite. Avrei infatti potuto ritagliarmi anch'io, in questa nuova dimensione, una fetta , uno spazio di "potere". Mi sarebbe bastato allinearmi e dire qualche "si". In fondo era quello che gli autori del "nuovo corso", forse, auspicavano. Ma la qualità morale, lo spessore umano oltrechè politico di coloro coi quali decido di collaborare, non sono elementi accessori rispetto alle mie scelte. Per quanto mi sforzi non riesco a convivere, anche da posizioni diverse e conflittuali, con persone che scopro use a certe modalità di comportamento.

Ma non sono solo le questioni, gli episodi, i modi della gestione del potere cui ho, peraltro solo in minima misura, fatto riferimento, ad avermi condotto a prendere la mia decisione. Hanno prevalso, soprattutto, le considerazioni politiche che già un anno fa segnalavo nell'articolo censurato, avendo da subito individuato i pericolosi sintomi dell'involuzione della Gilda, al di là della mia vicenda personale.

Da Maggio 2000 la Gilda ha completamente cambiato pelle, rendendosi irriconoscibile rispetto alla sua storia. L'ipotesi iniziale, 1988, era quella di far così tanto emergere le contraddizioni del sindacalismo storico, da farlo implodere e determinare la nascita di un vero soggetto moderno, europeo: l'Associazione Docenti. La propositività, la capacità di anticipare il nuovo guidandolo, l'intelligenza dei rapporti istituzionali (risultato di una costante pratica di "trasversalità" e di rifiuto di ideologie), la concretezza e il pragmatismo, uniti alla lungimiranza del progetto e dell'obiettivo, erano le caratteristiche della Gilda nel corso degli anni '90.

Oggi di tutto questo resta poco o niente. La Gilda è ridotta a "sindacatino di base", seppure di proporzioni maggiori di quelle tradizionali, protestatario, velleitario, capace di praticare un'unica modalità, quella dell'antagonismo frustrato di chi si piange sempre addosso.

Non è un caso, né il frutto del destino crudele, il fatto che la visibilità sia ridotta quasi a zero. Oltre all'incapacità dei nuovi dirigenti di porsi nei giusti modi di fronte ai mezzi di comunicazione, c'è che siamo in assenza assoluta di elementi propositivi originali da porre all'attenzione dell'opinione pubblica. Non si può basare un'intera politica solo su slogan, perché, dopo che sono stati ripetuti più volte, diventano scontati. La Gilda, ormai, oltre a dire (giustamente, certo), che la Riforma dei Cicli non va bene, e che ci vogliono più soldi per gli Insegnanti, altro non dice. Ripete pomposamente qualche slogan storico, ma non è più in grado di tradurlo in contenuti e significati politici. Neppure un documento di analisi è stato prodotto in questo ultimo anno. E le penose e inconsistenti relazioni di apertura delle Assemblee Nazionali, nelle quali manca anche l'ombra di capacità interpretative e propositive, determinano uno stato asfittico e catalettico del dibattito interno.

Anche la ricerca di rapporti con le istituzioni è inesistente, salvo che qualcuno non ritenga di averla assolta (nel qual caso saremmo davvero all'incoscienza e all'incompetenza assolute) invitando, qua e là, qualche parlamentare a qualche sporadica riunioncina, definita pomposamente, "convegno"… Prova ulteriore ne è l'assenza continua della Gilda dai momenti istituzionali collettivi di discussione e di confronto (Aran, Ministero, Forum, Convegni delle organizzazioni nazionali, ecc. ecc.) cui pure ancora è invitata.

E così il processo di "cobasizzazione" di una Associazione, nata invece in alternativa al conflittualismo perenne, teorizzato e praticato dai cobas, è ormai ad uno stadio irreversibile. Lo confermano, al di là di ogni possibile dubbio, tutte le scelte fatte dal maggio 2000, e in particolare nell'autunno, quando la Gilda si "accodò" alle decisioni prese dai cobas, scioperando in novembre assieme a loro contro i confederali, e seguendoli codinamente quando essi decisero (per scelta politico-elettorale, non certo sindacale) di unirsi ai confederali in dicembre. Col risultato finale di favorire i cobas stessi, anche nelle elezioni RSU, data la loro maggiore "visibilità" rispetto alla Gilda. E' facile prevedere che il percorso sarà lo stesso, dal prossimo settembre.

Vale la pena ricordare, al proposito, l'esultanza di Liberazione, il quotidiano di Rifondazione Comunista, alla notizia della mia messa in minoranza…

Ed è anche capire che, per i media, una Gilda clone è di gran lunga meno interessante dell'archetipo cobas, che, legittimamente, può rivendicare la primogenitura e l'originalità di una posizione "contro tutto e tutti". Rincorrerli sul loro terreno (o su quello del sindacalismo tradizionale quanto a pratica di consulenza) è semplicemente suicida. Ed è, purtroppo, proprio quello che sta praticando ( anche se a parole lo nega) la dirigenza Gilda, o perché non sa fare altro, o perché non vuole fare altro, interessata solo alla "gestione" dell'apparato interno. Come valutare, altrimenti, il fatto che, ormai, la maggior parte delle risorse della Gilda, umane ed economiche, sono destinate a funzioni sindacali tradizionali, alla consulenza, e a quelle RSU che avrebbero dovuto, invece, essere considerate solo come strumento (ancorchè obbligato) di raggiungimento di Rappresentatività Nazionale, e non come adeguamento della Gilda alle modalità tipiche del sindacalismo storico che le ha volute?

Ma un' organizzazione che scimmiotta le altre non serve proprio. Non c'è sbocco, né futuro, per una Organizzazione, piccolissima rispetto a quelle storiche (Conf. e Snals), se si presenta sempre e solo con richieste monetarie (la cui cadenza biennale, peraltro, rischia di determinare l'assoluto black-out nei periodi intermedi), e che non è in grado di confrontarsi coi grandi temi sul tappeto (la riscrittura dei profili, la diversificazione delle funzioni, l'autonomia, il federalismo dell'istruzione, la valutazione, il buono scuola, ecc), in un rapporto continuo col quadro istituzionale. Purtroppo, neppure il risultato eccellente di CGIL, Cisl e UIL alle elezioni RSU è riuscito ad insegnare qualcosa alla "nuova "dirigenza". Per esempio che gran parte dei colleghi ritiene che solo queste organizzazioni siano in grado di ottenere risultati economici (seppure inadeguati), e, in secondo luogo, che, comunque, queste organizzazioni sono in grado, se gli viene consentito dal letargo propositivo, di far propria qualsiasi tematica. E' quel che accade ai temi della Professionalità, del Codice Deontologico, della Carriera, ecc., sui quali sono ormai molto avanti nell'elaborazione, favoriti proprio dall'attuale inesistenza progettuale della Gilda…

Ma queste riflessioni, nella Gilda, non sono più in grado di circolare, tantomeno trovano sbocchi operativi anche per la situazione di occlusione della democrazia interna in cui ormai versa.

Lascio, dunque, ma con la piena consapevolezza di non aver mai interpretato come "chiese" i luoghi organizzati e associativi che ho frequentato nella mia vita. Ho sempre pensato e praticato in modo assolutamente laico il mio operare. La Gilda rappresentava lo strumento per realizzare un progetto, non il progetto in quanto tale. Oggi mi appare come una scatola vuota priva com'è di proposte. E, quando ne ha, rasenta il ridicolo. L'ultima perla di incompetenza (riscontrabile nel sito Gilda al 21.05.01) sta nell'incredibile confusione concettuale in cui incorre la dirigenza (?) Gilda, tra riduzione della forbice stipendiale relativa all'anzianità (che è una castroneria patentata), e accelerazione dello sviluppo stipendiale per l'anzianità (che è tutt'altra cosa).

Meglio lasciare, quindi, un' Associazione ridotta a tali livelli, a quanti sono interessati alla gestione del piccolo potere tesaurizzato. Unicuique suum.

Sono peraltro convinto che nei prossimi anni assisteremo a modifiche profonde del modo di fare associazionismo e sindacalismo. Molto meno conteranno i numeri. Molto di più conterà la capacità di riflettere, ideare, prevedere, proporre. Per ottenere risultati non serviranno tanto frotte di iscritti e di esoneri quanto una paziente e intelligente opera di trasparente lobbismo in Parlamento, quali che siano le coalizioni politiche vincenti. Molte delle questioni, da quelle economiche a quelle dello stato giuridico, dei profili, della professionalità docente saranno risolte sempre più a livello parlamentare e sempre meno a livello sindacale. E la Gilda, che, abbandonata la dimensione professionale, sta assumendo quella sindacale come unica dimensione, non è dunque il contenitore adeguato a percorrere le nuove vie che il nuovo impone.

Lascio la Gilda, ma non il mio impegno. Vedrò di far partire, assieme a colleghi che concordano con queste mie valutazioni, un nuovo progetto sulle orme di quello antico, avendo come obiettivo quello di dare una nuova dignità professionale alla funzione docente nella società che cambia. Cercheremo di riprendere un percorso di "Associazione" che si confronta con la realtà, con le istituzioni. Che considera gli altri come eventuali avversari, mai come nemici. Che sa di non essere l'unica fonte di verità, e che per questo rispetta le opinioni altrui, confrontandosi, combattendole anche aspramente, ma mai demonizzandole. Con una progettualità alta, ma senza velleitarismi. Conflittuale solo quando è necessario, perchè la conflittualità permanente è sintomo di infantilismo e serve solo a gratificare il narcisismo di chi la teorizza, non certo a risolvere i problemi dei colleghi, né ad ottenere risultati concreti in loro favore.

Saluto tutti i colleghi con affetto, in particolare i tanti che non ho conosciuto di persona, ma nei cui occhi ho letto, nelle innumerevoli assemblee che ho tenuto, la speranza di un futuro professionale migliore, per una scuola migliore.

Roma, Maggio 2001

Sandro Gigliotti


Messaggio di risposta a Sandro Gigliotti
da parte di Stefano d'Errico (Segretario Nazionale dell'Unicobas Scuola)

Con Sandro Gigliotti abbiamo condiviso alcune battaglie unitarie ed un serrato confronto sui motivi della nostra, recicproca, diversità. Una diversità che ha segnato i differenti percorsi di Gilda ed Unicobas.

Sandro è sempre stato pragmatico ed ha sempre coltivato l'idea che una associazione dovesse in primis agire da lobby.

Non lo dico con disprezzo, perchè consapevole della buona fede e perchè non ho mai accettato l'idea del tutto "acefala" che esistano percorsi disdicevoli a priori, né prassi da bollare con il marchio dell'infamia perchè (solo apparentemente) fuori dal seminato. Si tratta delle "bolle" di una certa "sinistra", a suo modo conformista ed intollerante almeno quanto prescrivono gli archetipi del più becero totalitarismo reazionario.

Lo ricordo per riassumere diversità (prima) e convergenze (poi). Da una parte chi, come noi, ha creduto e crede nella possibilità di riassumere nella storia contemporanea l'alterità di un sindacato capace di essere alternativo a tal punto al mondo politico dall'imporre la chiusura del vecchio e logoro gioco della cinghia di trasmissione, per calare sul campo la forza delle rivendicazioni di dignità e solidarietà (congiunte) e per negare a cricche di potere sindacal-partitiche (quelle sì dal pessimo retaggio) di far del mondo e della gente un esercito di ciechi ed obbedienti esecutori e, nel nostro caso (della scuola), albergo per travet ossequiosi ad indicazioni burocratiche imposte in luogo del rispetto e di un equo trattamento professionale, degno e garante di due grandi libertà: poter insegnare e poter apprendere nella dignità e nell'autodeterminazione, senza diktat, ragion di stato, né di apparato sindacale o di partito.

Dall'altra chi, pur radicalizzando la scommessa sul piano professionale, ha creduto di non poter affermare le ragioni della categoria se non scontando una "dialettica parallela" con gli apparati politici per liberarsi dal gioco al massacro degli apparati sindacali. Fu per questo che non capimmo le scarse critiche della Gilda a quello che il mondo della scuola ha ribattezzato "disordino" dei cicli e che criticammo l'assoluta inerzia di quest'associazione di fronte ad un'invadente legge cosiddetta di "parità", tramite la quale, già nel programma, una certa sinistra (ben più articolata del previsto) si accingeva (come poi avvenne) a raddoppiare gli stanziamenti per le scuole private. Dicemmo che Gigliotti avrebbe corso un rischio: non già quello della "trasversalità", bensì quello della collateralità, nelle pieghe di chances ridotte lasciate balenare per imporre vere e proprie controriforme eseguite dai partiti (oggi sono i sindacati delle "compatibilità" e la Confindustria ad emanare direttive in ogni campo).

Prima la controriforma della scuola elementare (secondo l'OCSE al primo posto nel mondo sino al 1990, da quell'anno retrocessa al quinto con l'imposizione dell'ideologia dei moduli, che oggi si vuole esportare persino al superiore), poi il "riordino" dei cicli, che l'avrebbe uccisa del tutto. Nella stessa fase abbiamo avuto la "Brocca", ed i migliori diplomati d'Europa sono diventati i peggiori. Poi lo statuto delle studentesse e degli studenti, con l'eliminazione di fatto delle sanzioni disciplinari, i crediti "formativi" con il diritto di venire promossi in matematica se si hanno i soldi per frequentare un corso di nuoto.

Si sono prese a prestito dalla scuola militante delle giuste richieste per disegni orientati in direzione opposta. La tradizionale mortalità scolastica nel passaggio fra elementari e medie avrebbe dovuto servire da alibi non tanto per unificare i due ordini di scuola, ma per utilizzare i docenti delle medie anche sulle future terze, quarte e quinte e per creare un disastro totale (il taglio di 80.000 cattedre per autofinanziare la "riforma"), fra l'altro retribuendo di meno un docente elementare laureato di un diplomato di educazione fisica utilizzato sulla medesima classe. L'ingresso nell'obbligo dell'ultimo anno della scuola dell'infanzia, cosa che chiediamo da più di un decennio, è stata usata solo come specchio per le allodole, cadendo immediatamente in corso d'opera. Cionondimeno, con la scusa dell'unificazione del ciclo di base, si pensava di ritornare all'avviamento professionale precedente alla media unica del '63, visto che l'alunno di oggi avrebbe dovuto scegliere a 12 anni l'orientamento: tanto poi avrebbe potuto cambiare indirizzo!

Nessuno ha però speso una parola sui veri problemi. Anzi, nel mentre si pensava di risolvere le lacune della scuola facendo fare esami a quiz (il "concorsone" di Vertecchi) ai docenti dopo 10 anni dall'assunzione (e 18 dalla prima utilizzazione in una classe, a causa dell'altissima media di precariato pro-capite), nessuna Miriam Mafai s'è accorta che si continua ad assumere tramite le roulettes russe e le clientele dei concorsi e che non esistono lauree realmente mirate all'insegnamento, perchè dovrebbero comprendere almeno un biennio d'ambito metodologico-didattico, esami anche di psicologia dell'età evolutiva ed almeno un anno di tirocinio pratico (selettivo). Per un lavoro così atipico, così concentrato, si può infatti essere persino plurilaureati, ma egualmente non in grado di realizzare alcuna empatia (anche per questo, al momento, la differenziazione dei docenti basata sui titoli di studio è quantomai fuorviante). L'unica "riforma" calata dal cilindro è quella laurea triennale (e quindi breve) che ci fa vergognare di fronte al mondo civile.

La nostra "diversità" è stata anche differenza di obiettivi. Da una parte la Gilda che, fondata e guidata da Sandro, sacrificava all'idea di una carriera (in effetti inesistente per il corpo docente) l'attenzione che noi invece dedicavamo (e dedichiamo) al ruolo unico docente, convinti della necessità, prima di tutto "strutturale", di smantellare la piramide gentiliana che ha introdotto l'idea sbagliata che fra chi insegna esista chi è "più docente assai" e che vi siano ordini e gradi di scuola più "nobili" di altri: parità di orario e salario, non solo a mero pareggio contabile quindi. Dall'altra l'idea (da noi tuttora condivisa) che la rivendicazione forte di una rivalutazione alta della funzione docente non sia separabile da una piena affermazione di una sua specificità complessiva, dalla scuola dell'infanzia al superiore (a maggior ragione se se ne rivendica l'analogia sino all'università). L'idea, insomma, che non potesse valere per chi svolge questo lavoro una logica "differenziale", né fra scuole, né fra "figure" perchè unica è la funzione. Da qui la nostra critica, ad esempio, alle "funzioni obiettivo", divenute peraltro una gabbia cottimista (in un ambito dove la qualità è inversamente proporzionale alla quantità), anche per quanti, non nominati perchè "cari" al dirigente o ad una cricca sindacale, bensì per riconosciute capacità, si sono visti retribuire meno di altri che tramite strani "progetti" hanno collezionato lo stesso numero di ore aggiuntive, ma retribuite a pieno contro il forfait da 250.000 lorde. Analoga la critica alle "figure di sistema", tutto sommato non disprezzate dalla Gilda.

Sandro però, pur tentato dalla logica del "merito", ha sempre avuto la capacità politica di districarsi dall'abbraccio mortale dei Confederali, le cui pantomime contrattuali erano invero volte ad una banalizzazione didascalica e clientelare del suo impegno per una carriera. Così è stato anche al tempo del "concorsone", e chi oggi lo accusa di essere stato compartecipe nell'elaborazione di quell'istituto, dice il vero solo quando afferma che Gigliotti ha sempre coltivato l'idea della differenziazione, ma esprime soprattutto un falso se con questo intende coinvolgerlo nella definizione del meccanismo subnormale di quel contratto, che non firmò.

La divaricazione degli obiettivi è sempre stata del tutto evidente a partire da due elementi.

Il primo, relativo al nostro impegno per la rivalutazione di tutte le funzioni che si esprimono nella scuola: da quella docente, dominante, a quelle del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario. Sandro non ritiene di doversi occupare di ciò che si muove intorno agli insegnanti, convinto di dover far emergere quella atipicità della docenza che i Confederali e lo SNALS hanno per anni di fatto negato tramite retribuzioni da travet ed imposizioni burocratiche, nell'indifferenza totale per gli ambiti gestionali e di supporto alla didattica. Noi non siamo mai riusciti ad immaginare una scuola che potesse funzionare senza il ruolo svolto da chi firma bilanci miliardari (e nonostante la sua responsabilità venga riconosciuta in modo inadeguato), senza assistenti che spesso coprono mansioni da direttori amministrativi anche perchè la L. 426/90 impedendo la sostituzione degli uni impone un allargamento delle competenze agli altri invece di riconoscimenti legati alle prestazioni, senza tecnici ed ausiliari, il cui ruolo di coadiuzione educativa non è affatto riconosciuto.

Il secondo, derivante dalla scelta strategica operata da Gigliotti (ed ora lasciata in eredità ad una Gilda ingrata) nel battersi per un contratto separato per i docenti. Una scelta da noi non condivisa non solo perchè fautori della necessità di una determinazione complessiva, funzionalmente interdipendente, degli impegni e del ruolo di tutto il personale scolastico. Bensì perchè abbiamo identificato nella truffa (anti)costituzionale operata a danno del comparto scuola il vero nemico da battere. Si tratta della privatizzazione del rapporto di lavoro, maramaldescamente imposta alla scuola nonostante la Costituzione la annoveri tra le istituzioni, mentre l'Università, istituzione anch'essa, veniva lasciata con un contratto di natura pubblica. La scuola inserita nel calderone del pubblico impiego (col quale ha ben poco a che spartire) e quindi, paradossalmente, privatizzata: prima nel rapporto e poi nel metodo di lavoro. Da questo paradosso discende una "autonomia" intesa come aziendalizzazione e che prevede la figura del dirigente scolastico (supposto "manager"), trasforma lo studente in cliente, nega finanziamenti pubblici adeguati alle scuole pubbliche per finanziare invece i diplomifici privati confindustriali e confessionali, creando un sistema formativo "integrato" ed il principio di sussidiarietà pubblico-privato. Questa "autonomia" apre la strada allo "sponsor" ed alle committenze, nonché ad una sorta di autogestione della miseria culturale ed economica che significa programmi funzionalistici all'americana ed ambienti squallidi che nulla hanno a che vedere con la libertà di insegnamento e di apprendimento e molto con ritmi modulari senza senso imposti agli alunni, che impongono l'aumento gratis et amore dei dei carichi di lavoro per i docenti (e non solo).

Ciò ha determinato la nostra scelta strategica: portare la scuola fuori dal pubblico impiego. Che ce ne faremmo, infatti, di un contratto, seppur separato, sempre interno a tutto questo armamentario (ivi compresa persino la progressiva eliminazione degli scatti di anzianità imposta in osservanza dei diktat del DL 29/93, quello della privatizzazione del rapporto di lavoro)? Un contratto che deve soggiacere ai canoni della privatizzazione non ha alcuna alterità e nulla a che fare con un comparto nel quale non esistono "operatori" ed "utenti", nel quale il momento principale è appunto quello dell'interazione metodologico-didattica, che non può essere considerato erogazione di alcun servizio: libertà di insegnamento e libertà di apprendimento non possono e non devono venire messi a servizio (né degli appetiti privati, né di quelli politici).

La scuola è un'istituzione pubblica che non può soggiacere neanche alla ragion di stato: una sfera pubblica non statale per definizione (nulla a che vedere, naturalmente, con le scuole private, poiché si rifiuta il vincolo di subalternità tipico della scuola di tendenza).

La ricerca educativa, plurale per definizione e per definizione espressione della società civile, deve rifiutare, in quanto comunità educante, ogni subordinazione di parte. La cultura non è merce: non è neanche merce ideologica.

Ed è proprio qui, da questa diversità fra la nostra linea e quella di Gigliotti, che abbiamo sempre riscoperto invece quelle convergenze che hanno consentito all'Unicobas ed alla Gilda di affrontare in passato battaglie comuni.

Da una parte la "scoperta" principale, quella della nuova dignità docente: nell'istituzione scuola lavorano dei professionisti, oggi ridotti al ruolo di impiegati e/o baby-sitter, dall'altra i nemici di sempre.

Il mondo del sindacato concertativo che ha appiattito in basso la retribuzione dei "quadri intermedi" per lanciare in alto i dirigenti (altro che solidarietà sociale e, come ben sanno i nostri precari, sviluppo dell'occupazione!!!). Che, in omaggio ad un operaismo di maniera, ha punito i docenti (i "saprofiti" per eccellenza), ceto considerato improduttivo.

Il mondo dell'imprenditoria, interessato a gestire in prima persona la formazione senza riguardo alcuno per l'istruzione, che vorrebbe trasformare i docenti in cultori e trasmettitori di competenze meramente esecutive, da introiettare negli studenti per renderli sempre più sudditi in funzione di un vero e proprio mercato del non lavoro ove lo smantellamento delle garanzie e dei diritti mal si conciliano con attitudini e sapere critico. Il loro ipocrita programma minimo sulla scuola è il seguente: gli insegnanti devono essere al nostro servizio, perchè così si "sviluppa l'occupazione". Di contro, siccome non assemblano bulloni, non creano ricchezza, vanno remunerati poco (anche perchè così sono più ricattabili ed asservibili). Ma, come se assemblassero bulloni, vanno valutati su basi quantitative (così promuoveranno tutti e non contribuiranno alla creazione di una coscienza popolare capace di qualche turbativa).

I populisti e gli "operaisti" applaudono: i satrapi dell'insegnamento, i bacchettoni sono finalmente ridotti in catene. Essi non possono più bocciare: la "selezione di classe" è finita! Poco importa se sarà proprio la "classe" ad avere meno strumenti per difendersi! Questi due mondi hanno trovato il punto d'incontro nel funzionalismo pedagogico, esercizio di certa accademica superficiale, pseudo "ideologica" o venduta al mondo dell'industria ed alle mediazioni atte alla conservazione di un potere qualsivoglia e comunque orientato. L'idea funzionalista utile ad un'imprenditoria che pensa solo al proprio interesse ed alla necessità di avere a disposizione forza lavoro duttile e servizievole, ricattabile perchè incerta sui diritti e digiuna di saperi forti, è stata sposata anche dagli epigoni di un cretinismo accademico cosiddetto di sinistra. La sintesi l'abbiamo vista nei nuovi curricoli che volevano imporre con il "disordino dei cicli": il trionfo delle "competenze", l'abbattimento dei saperi! La creazione di un luogo comune secondo il quale al ragazzo del "Bronx" non si deve imporre la "tortura" del greco, del latino ... di tutti i saperi classici, sino alla storia. Così viene a sparire anche la sua storia come essere sociale (che non recupererà certo svolgendo un tema sulla propria famiglia). Come contropartita gli è concessa la "garanzia" del diploma, ma al tempo stesso gli si fa presente che con quel diploma non ci farà nulla, che dovrà cambiare lavoro almeno 20 volte nella vita ... via via sino alla delegificazione del titolo di studio (pressoché ultimo fra gli obiettivi della Loggia P2 ancora non realizzato dalla cosiddetta "seconda repubblica").

La scuola si è trovata compressa fra l'incudine ed il martello. Il mondo del pregiudizio ha attribuito al docente ogni responsabilità, senza riconoscergli alcun merito. Contestualmente, le prospettive, sono tutte predeterminate in senso punitivo. Gli insegnanti si sono trovati senza alcuna "sponda".

Il sindacalismo confederale vede nei docenti "lavoratori atipici a part time" da piegare a standard impiegatizio-industriali, quello "autonomo" (lo SNALS che fu di Cirino Pomicino e di Clemente Mastella) punta sulle clientele dei presidi, la Confindustria li considera ceto improduttivo e punta ad assoggettarli ed a ridurne l'indipendenza, il mondo della politica segue gli stessi canoni. Come la CGIL, i Cobas non possono comprendere lo specifico della funzione docente. Da questo le accuse di "corporativismo" persino contro la vertenza per l'uscita dal pubblico impiego. Non si rendono neanche conto che la salvaguardia ed il rispetto della Costituzione non possono valere a senso unico: valgono se si lotta per garantire l'applicazione dell'art. 33 contro i finanziamenti delle scuole private ma anche se si lotta perché la scuola venga trattata da istituzione come disposto. Distorti parametri ideologici non sono utili al fine di una rivalutazione del ruolo docente, un ruolo che non può venire misurato col bilancino dell'omologazione in una società complessa dove contano le funzioni e nella quale non è certo equo un appiattimento che non ne tenga conto, che non riconosca responsabilità ed impegno dei docenti. Questo, mentre i fondi distratti dalla scuola vanno a vantaggio di categorie protette e consorterie di potere assolutamente favorite, tanto quanto discutibili (dirigenti scolastici, dipendenti della banca d'Italia, uscieri del Parlamento, etc.). Rimettere le cose al loro posto è anzi un'operazione "rivoluzionaria" perché sulla scuola si gioca una partita dalla grande centralità sociale, che non può essere compresa da quanti intendono semplicemente fare degli insegnanti massa di manovra, nel caso dei Cobas assecondando gli obiettivi politici di Rifondazione Comunista. Anche perché questi obiettivi non sono così lineari e trasparenti come si pretenderebbe, dal momento che Bertinotti ha votato a favore del taglio del 3% delle cattedre nel '97 e della relativa riduzione dei posti del personale ATA che vi ha fatto seguito. Inoltre, sempre quando era nell'area di governo aveva concordato il programma su legge di parità e disordino dei cicli, oltre all'accettazione esplicita in parlamento del congelamento pensionistico, di parti consistenti della cosiddetta "autonomia" nonché della vergognosa legge sulla "rappresentanza sindacale" che ha tolto anche ai Cobas persino il diritto di convocare assemblee in orario di servizio. Esattamente come voleva la CGIL, sindacato all'interno del quale il PRC lavora esattamente come nei Cobas, con un collateralismo perlomeno sospetto.

Tale è lo scenario che abbiamo affrontato in questi anni, entrambi con l'idea che la costruzione di un ordine che garantisca la salvaguardia della funzione professionale dei docenti, che elabori un codice deontologico sottratto a carrieristi, "opinion makers" ed ignoranti vari, tracci la discriminante fra chi si batte per una scuola agone di democrazia e chi, rappresentando rottami del passato, ne auspica invece il definitivo affossamento nella logica dell'azienda e nell'ambito di una confusione di ruoli che può portare solo alla disgrazia di un'Agorà dell'istruzione ridotta a carnevale, azienda, dependances padronale, oltre che del politichese e del sindacalese di turno, i quali non hanno mai trovato nulla da ridire sulla moltiplicazione degli ordini al di la delle professioni (vd. ad esempio l'ordine delle ostetriche), salvo poi pontificare contro quello degli insegnanti. Ed è perciò che non riteniamo certo un bello spettacolo quello che emerge dalla lettera di addio alla Gilda siglata da Sandro Gigliotti, dove si denunciano fatti che lasciano attoniti, non solo per quanto attiene alla singolarissima marginalizzazione a quanto pare operata nella Gilda a danno del suo fondatore (latore di una mozione che prese il 40% dei voti nell'assemblea congressuale che a maggio 2000 lo ha fatto decadere dalla carica di coordinatore della Gilda, non gli è stato confermato neanche l'esonero, nonostante l'associazione ne abbia a disposizione decine), ma anche per le ingerenze esterne che l'autore ci indica quando ricorda "l'esultanza di Liberazione, il quotidiano di Rifondazione Comunista, alla notizia della mia messa in minoranza". Certo è che la nuova "dirigenza" Gilda ha già fatto rimpiangere le capacità di Gigliotti. Emblematico quanto successo all'inizio di quest'anno scolastico in occasione della campagna per la (purtroppo affatto raggiunta) retribuzione europea. L'Unicobas, che ben sapeva che Confederali e SNALS avrebbero promosso uno sciopero "a recupero" in vista delle elezioni RSU, propose a Gilda e Cobas la data del 6 ottobre. Così avremmo anticipato CGIL & C., ma la risposta di entrambe le organizzazioni "alternative" fu negativa. Anzi, essi fecero di più: tolsero le castagne dal fuoco ai sindacati tradizionali, proclamando lo sciopero per il 16 ottobre nella deleteria convinzione che gli altri avrebbero ritirato lo sciopero. In tal modo diventò facilissimo per i firmatari dell'indegno contratto del "concorsone" prevenirci con la data del 9, prevenire gli artefici della manifestazione del 17 febbraio 2000. Chiunque avrebbe compreso che la categoria che stava per lanciarsi nella lotta avrebbe aderito in massa alla prima scadenza, e così fu: 35% contro 19%. Inoltre, la carta di costringere Confederali e SNALS ad una rottura del fronte sindacale o ad una conversione sul nostro sciopero (con relativo rapporto di forze in piazza che in tal caso sarebbe risultato a nostro favore) venne lasciata agli avversari, che ebbero buon gioco nel rigirare l'accusa su Gilda e Cobas. Il gioco non riuscì loro con l'Unicobas, che partecipò ad entrambe le azioni di sciopero, contendendo la loro stessa piazza a Confederali e SNALS.

Una posizione così miope ce la attendevamo dal massimalismo dei Cobas (che dissero esplicitamente di voler andare "alla conta" una settimana dopo gli altri), ma certamente non dalla Gilda, che da quel momento non ha invece fatto altro che accodarsi ed adeguarsi ai primi pressoché in ogni occasione. Anche nei metodi. Tanto che il 16 ottobre, l'Unicobas dovette imporre un proprio comizio alternativo sotto il ministero della pubblica istruzione, perché i Cobas (che si erano presi la testa del corteo facendo, come il 17 febbraio, uso di servizi d'ordine composti da autonomi di via dei Volsci, lavoratori dell'ENEL e del policlinico e giovani dei centri sociali) negarono l'agibilità del palco, complice la Gilda: la logica settaria dei gruppuscoli degli anni '70 veniva riproposta nei cortei degli insegnanti!

Ci sfugge cosa abbia a che fare la Gilda con tutto ciò e ben capiamo Gigliotti nell'odierna scelta di uscire dall'organizzazione alla quale ha dato origine alla fine degli anni '80. Scelta certamente dolorosa ed evidentemente ineludibile (a quell'associazione aveva dedicato la vita), ma ci auguriamo che Sandro non lasci l'impegno attivo. Anzi, ne siamo convinti, avremo ancora molto da fare insieme: nelle differenze ma, come è sempre stato, nel rispetto e nella stima reciproci.

Stefano d'Errico (Segretario Nazionale dell'Unicobas Scuola)